La storia del tarantismo
Il Salento è indissolubilmente legato al fenomeno del tarantismo, studiato da intellettuali e musicologi provenienti da tutto il mondo. Le prime testimonianze storiche del tarantismo e dell’esorcismo musicale vero e proprio compaiono intorno al 1300 in trattati medici dove si attribuiva ad un tipo di musica l’antidoto al veleno della tarantola. Nel 1700 il tarantismo viene associato ad una malattia, considerando disturbi mentali gli stati di trance dei tarantolati.
La più accurata analisi sul tarantismo è attribuita all’equipe dell’antropologo e storico delle religioni Ernesto De Martino, che per prima osservò il fenomeno sul campo. Grazie a questi studi il tarantismo venne definito un esorcismo musicale coreutico-cromatico. Coinvolgeva soprattutto donne adolescenti o adulte con problemi d’amore, morsicate dal ragno immaginario durante il periodo della mietitura. Il veleno iniettato dall’animale era il veicolo della possessione, si rigenerava di anno in anno, per questo gli etnologi parlano di adorcismo, attraverso il quale si scende a patti con l’entità, che non abbandona per sempre il corpo, ma si ripresenta periodicamente.
Il rito consisteva nell’individuare prima il tipo di suono preferito dal ragno, poi il colore scelto dalla tarantolata tra i fazzoletti o nastrini colorati. Iniziava così il rituale, con musica, cori e la danza terapeutica della taranta. Nelle trance i tarantati dialogavano con un mondo mistico ritualizzando il male attraverso la musica, il suono e la danza.
Francesco de Raho, il barone del tarantismo
Ad occuparsi del fenomeno del tarantismo il dottor Francesco de Raho (1888-1961). Nato a Lecce, conseguì la laurea in medicina a Roma nel 1906, con la tesi dal titolo Il tarantolismo nella superstizione e nella scienza, pubblicata successivamente nel 1908.
“Questo vecchio gentiluomo, che mezzo secolo fa in questo estremo lembo di terra aveva cercato di mettere a profitto dei tarantati il sapere appreso sui libri di Charcot, di Gilles de la Tourette e di Pierre Janet, ci accolse amabilmente nella sua dimora patrizia, così piena di cose d’altri tempi: e la nostra visita volle essere un omaggio della nuova generazione alla vecchia, che coi mezzi di cui disponeva e con i problemi che furono suoi, aveva anch’essa onorevolmente lavorato sul campo” scrisse Ernesto de Martino, che durante la spedizione del 1959, lo ha voluto personalmente incontrare per conoscere potuto osservare dal vivo questo fenomeno.
Gli studi di de Raho
In primis gli studi di de Raho hanno chiarito se il morso di un ragno può provocare una voglia irrefrenabile di danzare. Nei secoli, gli studi medici avevano indicato uno specifico ragno come causa del tarantismo: la lycosa tarentula. Questo ragno era così diffuso in Puglia che veniva chiamato anche Tarentula Apuliae o Phalagio Apuliae. De Raho ha analizzato altri esemplari della stessa famiglia come la lycosa radiata e la Lycosa Trabatalis. Dopo aver affrontato ampiamente gli aspetti anatomici, il medico leccese ha intrapreso le consuete sperimentazioni su cavie di diversa taglia.
Quello che ha potuto notare successivamente è che, nonostante le cartine tornasole reagissero all’acidità del veleno prelevato dalle ghiandole delle lycosae, il decorso clinico non si limitava ad altro che a una necrosi dei tessuti.
Tutti i sintomi generali, come la voglia irrefrenabile di danzare, “sono dovuti ad idee preconcette, superstiziose, che agendo su terreni deboli e già predisposti possono fare sviluppare una serie di fenomeni di natura isterica. Un individuo crede o pure effettivamente è morso dalla tarantola, è già convinto di quello che soffrirà, perché ha visto molti altri compagni di sventura, sa anche quello che solo gli resta da fare per guarire”.
Le conclusioni del medico leccese portavano tutte a intendere il tarantismo come una particolare forma di isteria. Nel volume di Francesco de Raho le cause della patologia che colpiva le contadine vanno invece ricercate nelle condizioni sociali e psicologiche in cui versavano le masse rurali dell’epoca.